eCommerce e cultura del servizio

https://www.snoopers.it/2020/11/27/e-commerce-e-cultura-del-servizio/

Già prima della pandemia sottolineavamo qui quanto fosse importante, per il successo di un e-commerce, accogliere e servire gli utenti nel migliore dei modi, dando loro un motivo per tornare a frequentarci e servirsi da noi. L’attuale contesto sociale ed economico ha ulteriormente marcato questo aspetto, ed oggi a mio avviso è proprio la cultura del servizio a far da spartiacque tra progetti che funzionano e non.

Così, mentre tutti festeggiano perché finalmente gli italiani fanno la spesa online, in pochi si preparano all’inevitabile selezione che il mercato provvederà ad attuare. Perché è proprio con l’aumento del traffico, delle transazioni e dei clienti, che puoi cadere. E se non ti sei preparato prima o non sei in grado di reagire tempestivamente, certamente cadrai.

Posto che a mio avviso non vi è proprio nulla da festeggiare (il fatto che sia servito un lockdown per far scoprire alla popolazione le opportunità dell’e-commerce la dice lunga sulla nostra percezione del digitale) dovremmo ora concentrarci su come sfruttare al meglio questa opportunità senza deludere il nuovo pubblico che ci troviamo ad accogliere e servire.

Ipotizziamo che ci sia domanda per il mio prodotto/servizio e che il mio partner digitale lavori in maniera eccellente, per cui mi avvalgo di un e-commerce responsive e molto curato in termini di UX (esperienza utente), tremendamente ben posizionato sui motori di ricerca (SEO) grazie ad una strategia vincente basata su keyword efficienti. In questo quadro a dir poco idilliaco, il flusso di traffico organico potrebbe addirittura consentirmi di ridurre il budget pubblicitario.

Fantastico! E allora cos’è che potrebbe andare storto?

Tutto, se non comprendo che quello che risparmio in pubblicità, sarà bene investirlo altrove. 

Vediamo dove e come.

Le minacce interne che individuiamo in fase di analisi SWOT per la valutazione delle partnership, riguardano sempre l’organizzazione interna del venditore, che provvediamo a radiografare in via preliminare. Il chi fa cosa e come, per intenderci. Ci imbattiamo spesso in un’arretratezza digitale critica e disturbante che per forza di cose finisce per individualizzare il lavoro dei membri del team, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta (finisce male quando i risultati sono dovuti alla buona volontà di singoli, piuttosto che al metodo e alle procedure adottate e condivise dal gruppo di lavoro). 

La prima rivoluzione che il partner digitale si trova quindi a dover “imporre” all’organizzazione del venditore, è l’adozione di SaaS (Software as a service) per:

1. la gestione delle relazioni con i clienti (CRM)

2. la gestione delle risorse umane

3. il lavoro collaborativo

Ho evidenziato il punto 3, sia perché raramente riscontriamo organizzazioni già attrezzate in tal senso, sia perché è quello che consente al partner digitale di essere sempre dentro l’organizzazione del venditore. Prevenire gli scollamenti tra reparti, condividendo task, conversazioni, obiettivi, problemi e soluzioni, significa migliorare la propria produttività e di conseguenza il servizio che si offre. Condurre il lavoro collaborativo avvalendosi di SaaS, comporta inoltre un’ottimizzazione della comunicazione e del tempo impiegato. Il lavoro del team diventa agile, ed essere agili fa risparmiare risorse. 

Splendido! E allora, di nuovo, cos’è che potrebbe andare storto?

Passiamo al supporto post vendita. Il partner digitale ha provveduto ad automatizzare il flusso delle comunicazioni post vendita, quindi l’acquirente riceve un tot di messaggi (con tono di voce ben definito e condiviso con il team venditore) che lo fanno sentire coccolato, unico e importante. Il partner digitale ha inoltre dotato l’e-commerce di una chat per il supporto in tempo reale, tramite cui il bot fornisce un primo livello di assistenza con lo stesso tono di voce. Quando il bot non basta, entra in gioco l’operatore. Ecco, la parte critica inizia proprio qui, perché spesso questo tipo di operatore è: sottopagato / non adeguatamente formato / occasionalmente impiegato (ha un’altra mansione all’interno dell’organizzazione, ma gli si chiede – in più, od occasionalmente – di fornire supporto post vendita). Idem per quanto riguarda il flusso di e-mail in entrata: il partner digitale ha dotato il venditore di un sistema di ticket nonché formato i membri del team, ma se poi il venditore per far fronte ad un aumento del traffico sul sito, rinforza il reparto delegando a soggetti non adeguatamente formati il supporto via ticket, ecco che non rispetterà i tempi di risposta stabiliti, risponderà con il tono sbagliato e non fornirà riscontri risolutivi a chi si sta servendo da lui, che ovviamente si aspetta il tono di voce e il livello di esperienza utente cui lo abbiamo abituato fin lì. 

C’è questa deformazione mentale per cui quello che succede dopo la vendita è meno rilevante delle fasi precedenti. 

Questo assunto tremendamente sbagliato, in un contesto di improvviso aumento di traffico e vendite, diventa letale. Ecco perché, come partner, in questi casi preferiamo prendere in carico la gestione del supporto post vendita.

Posted By

Corinna Volpi